Europa ’51 di Roberto Rossellini

Lui

Quanta paura fa l’amore in una società irrigidita sulla “facciata da salvare”, sulle relazioni legate agli appuntamenti fissi, di pettegolezzi, di convenienze? E quanto ci vuole per smarrirsi in questo egoismo massificato, dando importanza a cose pleonastiche, vuote, eppure considerate fondamentali? Perché dietro a una ricchezza esibita, alle buone maniere di convenienza, all’agio e al benessere, c’è solo la solitudine di un bambino. Un figlio. Che vuole la sua mamma per una sera. Lei, come ogni volta facciamo noi adulti, pensa che siano solo capricci. Questi bimbi che non sono capaci di stare al loro posto,  sottomessi all’educazione che li vuole bambolotti da esibire in salotto (giusto per prenderci i vari “ ma che bel bambino“,  massima soddisfazione di mamma e papà,  non tanto del bimbo),  che stia in silenzio,  non disturbi i grandi. Grandi che a loro volta non devono disturbarne altri parlando di politica,  giammai! Il mondo ordinato e anestetizzato dei borghesi non ammette la purezza e l’impegno militante. Europa_'51_poster

Europa ’51   inizia così. Un raggelante ritratto di corpi, voci, immerse in un lusso che è quasi estensione delle loro membra, quasi carne della loro carne, ma pochissimo altro. Tranne un bambino che si aggira inquieto, in cerca dell’affetto materno. Basterebbero solo questi primi minuti di cinema per farci appassionare profondamente al cinema realista, emozionante, di solida denuncia civile e robusta militanza politica,  messo in scena da Roberto Rossellini.

Il film però non finisce qui. Procede, e con una disgrazia terribile,  insensata, atroce: la morte del piccolo. Un gesto estremo per richiamare l’attenzione materna, un suicidio troppo duro da sostenere e sopportare per la donna. La quale, solo ora,  si rende conto della mancanza del suo bambino e di come abbia vissuto una vita basata sull’apparenza, la mondanità, lontana dall’affetto che il figlio richiedeva.

Succede sempre così: ti accorgi dopo delle cose. Quando ormai non c’è più tempo, non c’è rimedio, non c’è modo di sistemare o salvare nulla.  Quando la morte ci sveglia dal sonno dell’onnipotenza e ci sbatte nella realtà delle nostre debolezze.

Questa perdita potrebbe diventare un nuovo modo di rinchiudersi in sé,  evitare il mondo, ma l’intervento di Andrea (un giovane e battagliero giornalista di forte ideologia comunista), le apre gli occhi: il suo non è l’unico dolore, perdersi a rimpiangere quello che doveva fare non serve a nulla.  Nel mondo ci sono tantissime brutture, alcuni vivono vite miserevoli, ci sono gli ultimi.

La trasformazione sociale, morale, umana, di Ingrid Bergman,  è lacerante, commovente, perché capisce che siamo esseri umani accomunati da un bisogno d’amore, comprensione, affetto. Così il suo viaggio nelle periferie, fabbriche, a consolare, amare, viene giudicata follia. Essere buoni oggi è segno di idiozia, o appunto pazzia. Non il cinismo, la vigliaccheria egoista. E allora preferisco esser un folle, come la protagonista di questo immenso capolavoro.

Lei

Quando penso ad Europa ’51 penso sempre che, per me, rappresenta il vertice più alto della filmografia di Rossellini. Ho visto quasi tutti i suoi film e tutti indistintamente mi sono piaciuti. Ma quando ho visto Europa ’51 la prima volta è successo qualcosa di diverso. Mi è piaciu2133407,DJ6tEeEAHHPkD5C3GD0ByTgEBSsCnX4nTjw8OZBY3gR+CslGxWUiU0buAB4vkKKZ_Y_G7SGC1csBlRG_nSOviw==to, certo, ma è qualcosa che non ha a che fare con il semplice apprezzamento estetico che si richiede ad una pellicola cinematografica. Quel film mi ha come illuminata. Quello che accadeva sullo schermo mi emozionava, mi coinvolgeva, mi faceva anche molto arrabbiare ma, soprattutto, mi riguardava. Ecco, la differenza è questa. Europa ’51 per me non è mai stato solo un film. È stato, fin da subito, fin da quella prima visione, qualcosa di più concreto e profondo di una pellicola cinematografica. E ad ogni nuova visione questa sensazione si ripete e, ogni volta, non posso esimermi da indagarne il motivo. Uno dei motivi è, senza ombra di dubbio, la magistrale interpretazione di Ingrid Bergman. In questa pellicola più di ogni altra il suo modo di muoversi, di camminare, la sua gestualità, così controllata ma, nello stesso tempo, così vera (profondamente vera), contribuiscono a costruire un personaggio che oscilla, continuamente, tra forza e fragilità. Il senso di spaesamento di Irene di fronte ad una vita che non riesce più a riconoscere, di fronte alla mancanza di un senso, di uno scopo, è il senso di spaesamento dello spettatore, di fronte a qualcosa che appartiene ad ognuno di noi, alla perdita di un amore, alla sconfitta di un ideale, all’assenza di un obiettivo, di una direzione. È lo spaesamento di fronte ad una vita che stentiamo a comprendere e, nonostante questo, viviamo giorno dopo giorno.

Irene non è un’eroina. Irene è una donna comune, alla ricerca disperata di un senso. Come ognuno di noi, in fondo. E ognuno di noi il senso lo trova dove vuole, nel cinismo, nell’indifferenza, nella distanza da ciò che lo circonda oppure nell’affetto, nell’attaccamento agli altri, in un ideale. Esistenzialmente non vi è differenza. Perché in ognuno di questi casi dovremo lottare contro chi non ci capisce, contro chi è estraneo e distante da noi.

Irene non è pazza ma, in un certo senso, si rifugia nella pazzia perché realizza l’impossibilità di farsi comprendere, perfino da chi ha vissuto da vicino il suo stesso dolore e smarrimento.image0057

Rossellini in questo film ci dà una profonda ed importantissima lezione morale. Ci fa comprendere in maniera indelebile quanto ogni uomo abbia una propria personale sofferenza e quanto ci sia bisogno di rispettare questa sofferenza e, ancora di più, quanto sia necessario e profondamente umano cercare di alleviarla. Ma l’operazione di Rossellini va ancora oltre. Perché ci dice che la solidarietà sociale, la comprensione verso chi è debole o in difficoltà o è oppresso è insita nell’animo umano e travalica qualsiasi etichetta. Perché Irene non diventerà comunista (nonostante Andrea la indirizzi in quella direzione), non aderirà alla morale cattolica, non cercherà proseliti, non arringherà le folle dicendo agli altri di essere buoni o solidali. Irene, per tutto il film, risponderà al proprio bisogno interiore di ricerca di senso. E la meravigliosa (e tristissima) scena finale ci fa capire che, nel fare questo, avrà tanti nemici quanti amici. Perché la posizione che Irene assume, con la sua forte valenza etica, è essenzialmente molto scomoda perché, senza imporlo, porta inevitabilmente al confronto con se stessi e la propria interiorità.