Ovosodo di Paolo Virzì

Lei

Cosa rende eccezionale una vita normale? Lo sguardo. Saper guardare al quotidiano ed apprezzare le cose semplici di ogni giorno fa sì che qualsiasi vita possa essere raccontata ed assuma un significato che va oltre il banale trascorrere del tempo. E poi l’amore per i personaggi. Un altro elemento essenziale è riuscire a cogliere ed amare le vittorie e le sconfitte di chi sOvosodo-cover-locandinatai raccontando.

E Virzì ha dimostrato di saper fare questo fin dal suo primo film, La bella vita, ambientata in una Piombino in crisi sociale ed esistenziale. Il trucco è raccontare qualcosa che conosci bene, perché di quella gloria effimera e di quella miseria epica hai partecipato, ti sei nutrito. Ed è questo che ti permette di porti con empatia nei confronti dei personaggi che racconti, perché sai che basta un errore, uno sbaglio (Piero, in Ovosodo, dirà “basta un congiuntivo detto nel momento sbagliato per essere bollato a vita”), una distrazione, per scivolare dall’altra parte, dalla parte della miseria.

Per questo a Piero gli si vuole bene. Perché vive una vita sempre sul confine tra miseria e redenzione. Ha del talento ma non sa come usarlo (è molto bravo negli studi, soprattutto nelle materie umanistiche) e, infatti, lo spreca quasi senza rendersene conto. Si sceglie le compagnie sbagliate e, proprio per questo, perde una delle persone a cui voleva più bene in assoluto (Nicoletta Braschi, eccezionale nella parte della professoressa d’italiano e quasi una seconda mamma per Piero). Insegue amori impossibili (chi di noi, in adolescenza, non lo ha fatto!) che finiranno male per poi rendersi conto che l’amore, quello vero, ce lo aveva sotto casa (nei panni della vicina vestiti da una bravissima Claudia Pandolfi, che toscana non lo è ma toscana lo sembra). Eppure Piero non esce sconfitto dalla pellicola. Alla fine la sua vita fatta di piccole cose può dirsi felice. È vero c’è quell’uovo sodo in gola “che non va ne su ne giù” ma Piero impara a conviverci. Forse è proprio quell’uovo sodo che permette a certe vite di non scivolare nella miseria. Perché, metaforicamente, è il condensato di tutto ciò che avresti potovosodo3uto essere ma non sei e, spesso, sapere che potresti essere anche altro da te ti permette si scegliere proprio quello che sei, di sceglierlo ogni giorno e non rassegnarti a subirlo.

Ovosodo è un film fatto di pochissimo, forse solamente di una felicissima intuizione. Ma è un film che sa essere lieve e delicato come pochi altri. È un film che racconta la più banale delle esistenze ma che sa farlo molto bene. Perché Virzì riesce ad infondere vita anche al personaggio più marginale della pellicola e a renderlo comunque indimenticabile, non importa se compare per un’ora o per un minuto, quello che conta è che sia credibile.

Un’ultima notazione, prima di concludere. Un grande autore (che sia esso regista, scrittore o sceneggiatore) ha la capacità di prendere tanto dal reale quanto dalle proprie fonti culturali, di rendere questi riferimenti vivi, veri ma, soprattutto, attuali. E basta guardare la scena della fabbrica, in cui Gabbriellini racconta i romanzi di Cassola e Dickens agli operai per rendersi conto che in una pellicola come Ovosodo i riferimenti culturali sono qualcosa di più elevato del perdente di turno che incontri tutti i giorni al bar del porto di Livorno.

Lui

“Viaggio d’andata, senza ritorno, Bella Livorno… Io resto qui” Come non trovarsi concorde con le parole di Bobo Rondelli? Il celeberrimo cantante famosissimo a livello locale, gloria della città toscana? Questa sgangherata allegria, (che potrebbe passare per menefreghismo), la quale spesso nasconde dolore e disperazione, è da sempre ben presente nei film di Paolo Virzì. 

Oggi, (che van di moda i personaggi cinici e imbecilli, per rassicurare l’umanità delle proprie debolezze e stoltezze), il suo modo di far cinema viene bollato come: “Buonista”. Un marchio d’infamia, roba da finire sul rogo per mano dei cinefili d’assalto. Io invece credo che Ovosodo, sia una pellicola fragile e disarmante nella sua assoluta empatia, nella rappresentazione di un’umanità votata ad errare, lasciarsi trasportare dalle illusioni, così nobile e sciocca, tamarra e tenerissima. L’amore che si manifesta a pochi metri da noi, da sempre. La famiglia con i suoi problemi, il rapporto con un fratello oligofrenico, le amicizie, la politica: la vita. Possiamo dire tutto contro il cinema di Virzì, ma non che non sia in grado di riprendere, filmare, rappresentare, e farci sentire tutto il peso in risate e pianti, di questa cosa unica (e a volte crudele) che è la nostra esistenza. Per ogni personaggio spendiamo un sorriso, una lacrima, tifiamo per loro. Ecco, non è un cinema contro per forza, per far la parte dell’eterno ribelle, ma un cinema comprensivo. E di comprensione penso ne abbiamo bisogno tutti. Quindi invece di prendere la strada per criticare il ricco di turno, per indagare i rapporti di classe (che peralNicoletta_Braschi_Ovosodo_col_01tro non mancano mica se uno fosse attento), il regista livornese ci parla e affronta il difficile ruolo delle relazioni, del trovare un posto nella vita, che sia il nostro e non quello voluto dagli amici del bar o dai parenti. Per questo il finale è bellissimo: un amore, un lavoro, la serenità, anche se tutto questo non cancella l’angoscia, ma ce la rende sostenibile. Questo è il lato che preferisco del cinema di Virzì, trovare anche in una vita che parrebbe pleonastica, in una scelta che per molti è rinunciataria, in un finale che ribadisce la natura e la gabbia di classe (nelle quali tutti siamo rinchiusi), un possibile modo di vivere e di maturare. Perché questo è il tema del film: la maturità di un personaggio qualsiasi. Che tenta molte strade, non riesce a cogliere sempre la differenza fra amore e idealizzazione di esso, sbaglia amicizie, ma non perde la sua purezza che non è ingenuità idiota, ma sana voglia di vivere. Comunque vada e comunque sia possibile. Non è una sconfitta, ma la presa di coscienza che la felicità si possa nascondere anche dove pensiamo essa non possa ritrovarsi: nella normalità, nella quotidianità, nei solidi sentimenti, negli altri. Di questo abbiamo un gran bisogno.

 Questo è buonismo? Questo vuol dire non aver coraggio? Io so solo che Piero, Mirko, e tutti i loro amici mi rimarranno per sempre nel cuore.