Profondo Rosso di Dario Argento
LUI
Avevo preparato una recensione piena di dettagli tecnici, curiosità dal set, riscontri oggettivi,ma l’ho buttata. Perché? Non sarei stato onesto con me e con voi lettori. Sapete (forse no) che ci possiamo innamorare anche dei film? Cioè raggiungere quei livelli di benessere fisico e psichico (tipico dell’amore) anche guardando un film? A me capita. Questo vuol dire che la pellicola non abbia dei difetti? Che sia esente da critiche? No,ma che talora il critico deve riconoscere il “sentimento” e affidarsi a lui. Una critica sentimentale.
Profondo Rosso arriva dopo l’unico film non “horror, giallo, thriller” diretto da Dario Argento : Le Cinque Giornate di Milano. La pellicola fu un sonoro insuccesso (immeritato) e così il regista decise di tornare al genere che più gli si confà.
Il risultato? Una pellicola che va oltre il concetto di classico, un’opera a suo tempo rivoluzionaria e che con gli anni ha influenzato e stregato altri autori, pellicola che non è più semplice caso cinematografico, ma va oltre: è Immaginario Collettivo ben radicato e non solo nella sua nazione.
Argento mette in scena un delirio infernale, una sinfonia di sangue e carne lacerata, ricca di citazioni artistiche ( i quadri di Hopper per rappresentare il bar e i suoi avventori), porta sullo schermo un personaggio di donna che non è subalterno al protagonista maschile,ma prototipo della nuova femminilità, rielabora e reinventa il genere, lo devasta, distrugge e “cronenbergariamente” gli dona “nuova carne”
Non è possibile per me (davanti a certe opere) far un classico lavoro critico (valga per questa opera o certe perle del muto e di altri periodi), perché quando un film diventa fenomeno di costume, quando la sua esistenza è a conoscenza anche da parte di chi non segue quel genere, bè siamo sui territori della sacralità e immortalità. Che piaccia o no.
Certo la parte tecnica (dal montaggio dell’eccellente Franco Fraticelli, alle musiche sublimi di Gaslini e Goblin, alla fotografia e i movimenti di mdp) è nettamente superiore alla sceneggiatura,ma non inficia la superba pulcretudine di questo film.
Opera transitoria, dove Argento sperimenta possibilità e fantasie che avrebbero trovato spazio in Suspiria.
Non da meno sono i sottotesti: la famiglia come fonte di isolamento e follia, lo smarrimento del singolo di fronte all’orrore, la solitudine che sta alla base di tutti i personaggi (tutti singoli senza effettivi legami tra di loro,tranne Mark e Gianna), l’arte come fonte di liberazione e gabbia d’oro allo stesso tempo.
Per tutti questi motivi amo profondamente codesto immortale capolavoro. Opera d’avanguardia che destruttura certezze e regole per tentare il suo assalto al cielo. La colonna sonora è diventata uno dei motivi più fischiettati e riconoscibili, ha dato origine a un Musical; è una pellicola che tutti gli appassionati dovrebbero conoscere e amare, sopratutto qualora si volesse dedicarsi al genere horror-thriller. That’s the truth!
LEI
Avevo visto per la prima volta Profondo rosso diversi anni fa. Me lo ricordavo come un grandissimo film estremamente terrorizzante. Sabato sera, invece, mi sono resa conto che è un film per cui si fa sentire il passare del tempo. È un film invecchiato; ed invecchiato male. Questa seconda visione me ne ha fatte percepire tutte le ingenuità, al di là dell’innegabile forza visiva che ancora è capace di trasmettere. Se Dario Argento oggi fosse ancora capace di girare come ai tempi di Profondo rosso e scegliesse di rinunciare a sceneggiatura, personaggi, dialoghi, per fare un film basato esclusivamente sulla messa in scena, i movimenti di macchina, i raccordi di montaggio e le inquadrature, quasi sicuramente, realizzerebbe il suo capolavoro.
La forza visiva che emana una pellicola come Profondo rosso è evidente ancora oggi. Eppure la trascuratezza con cui sono trattati altri aspetti del film risulta quasi imbarazzante, oggi più di allora. Su tutti la recitazione degli attori, in bocca ai quali sono messi dei dialoghi quasi imbarazzanti, contribuisce ad abbassare notevolmente il livello della pellicola. È vero che in un horror i personaggi non si fanno mai notare per la profondità di rappresentazione ma qui, in certi momenti, si raggiunge il comico involontario (basti vedere le scene del corteggiamento tra Daria Nicolodi e David Hemmings con gli improbabili e goffi balletti improvvisati di lei), anche se una base di comicità in alcune scene è sicuramente voluta (come quelle ambientate nella macchina della Nicolodi con lo sportello bloccato che costringe i due ad uscire dal tettuccio o il sedile rotto che pone Hemmings in un’innaturale posizione sottoelevata) per allentare la tensione. Non sto qui a sottolineare neppure le incongruenze e le ingenuità di sceneggiatura, che pure ci sono e sono molte. Non lo faccio perché non è neppure corretto ed onesto sminuire la forza visiva di una pellicola che dovrebbe essere studiata ancora oggi per la capacità di trascinare lo spettatore in un viaggio macabro e suggestivo esclusivamente grazie ai movimenti della macchina da presa.
Dario Argento è un esteta. E questo è innegabile. Basterebbe anche solo il dettaglio del Blue Bar, preso di sana pianta da Nighthawks di Edward Hopper per rendersene conto. Ma Profondo rosso è pieno fino all’orlo di inquadrature memorabili (spesso ottenute a scapito della coerenza narrativa, come nel caso del dialogo tra Hemmings e Gabriele Lavia davanti alla mastodontica statua del Po, in piazza CNL a Torino, in cui viene da chiedersi perché i due si parlino da una distanza di dieci metri se non sapessimo che accade solo per includere la statua nell’inquadratura) e di movimenti di macchina estremamente espressivi (basta vedere la scena iniziale del teatro, la maniera in cui è girata, le inquadrature innegabilmente ricercate).
Sicuramente Profondo rosso è un film che ha influenzato tantissimo l’immaginario collettivo proprio grazie alle sue soluzioni visive. Ancora oggi, in molti film e in contesti estremamente distanti tra loro, se ne possono ravvisare echi ben individuabili. Ma è un peccato che la genialità di questo regista non abbia trovato, qui come altrove, un adeguato gruppo di collaboratori che sia riuscito ad integrare quello che ad Argento manca del tutto e a rendere coerente una narrazione ed una recitazione che – francamente – raggiungono anche picchi di estremo imbarazzo.
Non vorrei sembrarvi troppo democristiano ma sia Lui che definisce amore questo film è d è quello che penso sia Lei che giustamente definisce i dialoghi un po ridicoli,mcosi che penso avendolo rivisto a distanza di 40 anni. Devo dire però che Tutti i protagonisti sono ottimi specialmente Lavia da cui credo scaturisce poi quella cupa luce che contraddistinguerà le sue opere erotiche con la ex moglie anche lei torinese. Essendo nativo di quella città capisco perché molti giallista e non la amino. Sarà per il famoso triangolo esoterico, la magia nera che si incontra come nei Caraibi, sarà il barocco, il po, ecc ma rimane una città magica.
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Sicuramente la pellicola ha dei limiti,ma a mio avviso sono davvero poca cosa rispetto all’uragano di immagini,invenzioni,innovazione nel e del genere. Anche per me Lavia offre una più che buona interpretazione, come il leggendario Hemmings. Torino è una città magnifica, di una bellezza forse glaciale,ma che scalda il cuore di chi ha occhi per coglierne la sua pulcretudine
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La mia critica non intende sminuire la forza di una pellicola che, giustamente, ha fatto la storia. Sottolinearne certi difetti ed ingenuità, anzi, concorre a dare ancora più forza a quelli che sono i sui indubbi meriti, altrimenti non sarebbe passata alla storia e non sarebbe ancora oggi così citata.
Poi Torino è splendida! E la scelta di ambientarla lì assolutamente vincente (benché non si capisce come mai la sceneggiatura affermi che la vicenda si svolge a Roma… un altro di quei particolari assolutamente senza senso di cui la sceneggiatura è infarcita!).
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le due recensioni si completano e in qualche modo confermano alcune mie perplessità, sviluppate ormai circa 25 anni fa, all’epoca della mia ultima visione del film. E’ tempo di vederlo di nuovo, con l’esperienza di un quasi cinquantenne…
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Anche io, rivedendolo adesso, ho, in parte, rivisto le impressioni che avevo avuto alla prima visione. Proprio nella visione di sabato sono emerse tutte quelle ‘stonature’ che mi portano a considerarlo un film irraggiungibile sul piano visivo ma debole per quanto riguarda soprattutto la scrittura. Rivedilo e poi ci dici!
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Questo post capita in un momento in cui sto rivedendo gran parte della filmografia di Argento pre-rincoglionimento (escludendo Phenomena, ma solo perché potrei recitarvelo a memoria) e, proprio riconsiderando molti suoi film, mi viene da pensare che per lui fosse molto più confortevole la dimensione del soprannaturale puro, dove non è necessario un intreccio vero e proprio a sostenere il film.
E infatti Suspiria e Phenomena (più questo del primo) sono due film fondamentalmente anarchici e visionari.
Molti ritengono Argento il maestro del Giallo, ma secondo me, era un maestro molto più a suo agio nell’horror puro.
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Concordo con quanto scrivi tu, Lucia. In realtà, a mio avviso, Argento per un decennio e oltre è stato bravissimo nel metter in scena la potenza suggestiva e coreografica del Male. Il suo è un cinema dove conta moltissimo l’immagine, un cinema-occhio, fatto di visioni e allucinazioni atte a metter in scena degli schock visivi potentissimi. Posso dire che sempre nei suoi film ho avvertito forte questa spinta verso il soprannaturale, perché i suoi assassini quando colpiscono sembrano invincibili creature infernali, e poi perlopiù sono dei pirla.
Il mio film preferito di Argento rimane Inferno, donde neppure cerca di scrivere una storia,ma si basa su una serie di assurdi e illogici presupposti, per metter in scena il male puro. Comunque Suspiria e Phenomena, quasi sicuramente saranno tra quelli recensiti,ma moooolto più avanti
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Phenomena rimane, a distanza di anni, il mio preferito. È un film furibondo. Credo sia il suo picco creativo assoluto, proprio perché sembra partire come un giallo e poi abbandona del tutto la trama in favore di una serie di visioni e, come dici tu, shock visivi d’altissima classe.
Io, lo sai, non sono una fan di Argento. E sono d’accordo con Valentina quando dice che i suoi film tendono a invecchiare maluccio. Ma non tutti. Phenomena, Suspiria e anche Inferno, reggono molto bene.
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Credo che se Argento avesse avuto il coraggio (e fosse stato sostenuto) sarebbe potuto diventare, in un certo senso, il Malick dell’horror, perché è uno dei pochi capace di ricercare e rappresentare la purezza del mezzo cinematografico, ma avrebbe dovuto abbandonare del tutto l’aspetto narrativo che è ciò che gli si confà di meno e che trascina molte delle sue pellicole verso il basso.
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in effetti, pure lui, nella sua autobiografia “Paura”, sostiene che voleva far cinema usando il mezzo cinematografico e quindi libero dalla logica e coerenza. Cita a tal proposito il fatto di liti furibonde con i produttori e altri membri della troupe, che non comprendevano cosa c’entrasse il pupazzo nella scena del delitto di Glauco Mauri in Profondo Rosso. I suoi film hanno parti deboli che però venivano ben camuffate dalla padronanza del mezzo. Cosa che da un po’ non ha più, per me.
Rimangono pellicole che ho amato assai,come certi horror padani di Avati o pellicole visionarie e pessimiste di Fulci.
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