La migliore offerta di Giuseppe Tornatore
Attenzione! Contiene spoiler.
LUI
Per onestà intellettuale, ci tengo a precisarlo: non sono un ammiratore del cinema di Giuseppe Tornatore.
Non ho mai amato quella sua regia così invadente, affannosamente epica, ridondante. Basata su un’esposizione muscolare delle immagini, ma con poca sostanza di sceneggiatura, storia, personaggi. Vittima di “viscontismi” e ” leonismi” i quali invece di portare un po’ di sana epica, appesantiscono il risultato finale. Certo, essendo un professionista di alto livello, non manca nei suoi film quel momento di assoluta pulcretudine, ma è un attimo che si perde subito.
La migliore offerta, è un film ambientato nel mondo delle aste e dell’arte. Un mondo dove affari e amore per i capolavori della pittura (e non solo) vanno di pari passo. In questo campo eccelle Virgil Oldman, un memorabile e bravissimo Geoffrey Rush, un uomo dedito al lavoro, meticoloso, che indossa perennemente dei guanti perché non vuole toccare gli altri esseri umani. Un solitario, in equilibrio tra professionalità e piccole truffe con un amico pittore.
Un giorno verrà contattato da una misteriosa donna per un affare. Da quel momento la sua vita cambierà. Piano piano scoprirà l’amore e ne subirà le conseguenze.
Sulla carta un film interessante che affronta argomenti molto profondi. Sopratutto il bisogno di amare, di innamorarsi, aprirsi agli altri e di come l’amore sia gioia e condanna. Purtroppo rimane solo sulla carta. L’opera è un fiume di parole, immagini, divagazioni artistiche, tentativo di far del giallo, del mistero, ma a me è giunto tutto piatto. Senza pathos, trasporto, senza quella parte ferocemente umana, vulnerabile, portata con sforzo sullo schermo da Rush , ma non seguita dal resto del cast. Un cast a volte penoso, come la co-protagonista. Un personaggio anche avvincente, ma recitato in modo talmente insulso….
Cosa rimane allora? Il personaggio principale, un finale amarissimo, poco altro. Dialoghi pomposi e a tratti ridicoli, tentativi di mescolare tematiche e generi indigesti, una parte “gialla” risaputa e che non fa urlare: non l’avrei mai detto! Una durata eccessiva che ci costringe a una visione faticosa, nessuna traccia di empatia per i personaggi
Sicché l’opera conquista con la bravura di Rush e una più che buona scenografia, ma non basta per farne un film memorabile o che consiglierei come visione . Per i difetti riscontrati e denunciati qui sopra. Ho come l’impressione che Tornatore annaspi nel mare del cinema epico, di matrice americana, che ha ben studiato e sa riproporre,ma come i quadri del personaggio di Donald Sutherland sono solo delle pregevolissime (anche piacevoli per alcuni) copie.
Pur riconoscendo che per lavorare con un cast di livello internazionale, aver vinto un Oscar, esser ammirato da un vasto pubblico è indice di esser parte della storia del cinema. Una parte che a me non convince più di tanto
ps: mi piacerebbe vivere nella stanza segreta del protagonista. Quanta arte! Che delizia! Che meraviglia assoluta per l’anima
LEI
Giuseppe Tornatore ha due anime. Ha un’anima magniloquente ed epica, l’anima, per intenderci, del cinema americano classico (e sono pochi in Italia a saper ancora girare in questo modo… lui, Sorrentino e pochi altri), e ha un’anima più intimista, quasi minimalista, se di minimalismo si può parlare per chi gira con uno stile che è esattamente il contrario di ciò che questa parola richiama. Diciamo che la seconda anima è quella che si perde ad indagare maggiormente l’interiorità dei suoi personaggi ed è anche l’anima più portata al simbolo, alla metafora. Amo tutto il cinema di Tornatore ma la sua seconda anima un po’ di più. E, infatti, i suoi film che preferisco sono Una pura formalità, La sconosciuta e questo La migliore offerta.
La seconda anima di Tornatore tende sempre a tingersi di giallo, tende ad assumere i toni foschi del thriller, si spinge a parlare di fobie, morte e violenza.
Ne La migliore offerta il protagonista (un Geoffrey Rush splendido, come sempre), uomo apparentemente di successo e molto facoltoso, è morto. Non in senso fisico, naturalmente, ma in senso spirituale. Virgil Oldman è terrorizzato dal contatto con gli altri e, soprattutto, con le donne che non riesce neppure a guardare negli occhi (bravissimo Rush a renderlo nell’incontro con la fidanzata motociclista di Jim Sturgess). Vive una vita metodica e solitaria, circondato dalla bellezza dell’arte che è la sua passione e il suo mestiere. Poi conosce una donna. E quello che seguirà porterà alla catastrofe.
Il confronto è sicuramente impari e non vuole essere né un confronto stilistico né di intenti ma è indubbio che il nucleo di questa pellicola è lo stesso di Le conseguenze dell’amore di Paolo Sorrentino. Che succede quando lasci il porto sicuro della solitudine per aprirti all’amore? Il disastro, sembrano dire in coro Sorrentino e Tornatore. Sia Servillo che Rush si abbandoneranno ad un sentimento che, fino a quel momento, si erano preclusi e questo sentimento li distruggerà.
Tornatore procede con una narrazione per sovrapposizioni, centellinando particolari ed indizi, fino a costruire il carattere dei personaggi e le dinamiche della storia disvelandoli poco alla volta. E mentre, asta dopo asta, la stanza segreta di Virgil si riempie di quadri di donne (arrivando a costruire una sorta di galleria della donna ideale), allo stesso modo la storia si compone sotto gli occhi dello spettatore, come se fosse una sorta di puzzle in cui ogni tessera trova la sua collocazione. Tutto questo fino alla rivelazione finale che si esplicita nella stanza vuota e crea una vertigine visiva ed emotiva che porta Virgil (e lo spettatore con lui) al collasso.
Tornatore è uno di quei registi che lascia pochissimo spazio allo spettatore. È un regista onnisciente che ti dice tutto quello che c’è da dire e ti indica anche ciò che devi provare. Il suo è un cinema estremamente costruito che funziona come un ingranaggio ben oliato. Questo modo di raccontare e di girare avrà sempre e in egual misura ammiratori e detrattori perché c‘è chi è disposto a farsi trascinare dentro una visione cinematografica totale e chi, invece, preferisce restare sempre un po’ al di fuori e continuare a costruire il film dentro di sé.
Questo è Tornatore. Si può decidere di stare al gioco ed amarlo oppure no e non ci piacerà mai fino in fondo.
È un filme che ho visto e che pur non avendomi moltissimo colpito non mi è dispiaciuto.
Di LUI convengo che la trama non convince del tutto e che ci sono troppi importanti argomenti all’interno che hanno mutato il mondo dell’arte e che qui sono di passaggio e caoticamente assemblati; ma come te, amerei molto vivere nella “stanza” e non riposare mai gli occhi di fronte al bello.
Di LEI mi piace molto la liason degli atteggiamenti del protagonista con Titta De Girolamo de Le Conseguenze dell’Amore; la comune rottura dell’ordine che le spinge all’incapacità di sapersi gestire e ritrovarsi.
Resta alla fine però un film da vedere (non di quelli che se non lo hai visto “ti manca qualcosa”) caruccio per quella visione di un mondo che sfugge a molti e che purtroppo è molto reale, il mercato dell’arte “devastato ed alterato” dalla brama e dal denaro, che hanno tolto all’arte stessa quell’unico piacere, estetico e consolatorio che dovrebbe essere protagonista.
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Grazie per il commento. Infatti, dal mio punto di vista, avrei preferito un maggior approfondimento sul mondo dell’arte e delle aste. Quella parte è interessante, poi ci sono tutti i difetti da me scritti nella recensione
Ciao!
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c’è il brutto vizio in Italia (ma un po’ nel mondo) che ad un certo punto, i registi (come gli attori, artisti…) che hanno avuto dei brillanti esordi, a vita “restano geni” a prescindere da quello che poi realmente ed oggettivamente fanno! In questo caso Tornatore è considerato un grande e tutto quello che fa non è giudicabile che nella “grandezza”
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In effetti ti pensavo Lois! Non tanto nello scrivere la recensione, che non ho voluto impostare in maniera troppo specifica, ma proprio riguardando il film. Quella stanza credo che sia il sogno di molti. Ma è anche un mondo chiuso, fatto di sguardi spenti, seppur dipinti in maniera viva. Quella stanza simboleggia la solitudine e la misantropia del suo arredatore. E’ bella e, nello stesso tempo, terribile, soffocante ed opprimente.
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Io andai a vedere il film proprio per le relazioni anticipate col mondo dell’arte. Effettivamente la stanza è splendida, ma chiusa come la vive il protagonista è un luogo di solitudine. La bellezza dell’arte andrebbe sempre condivisa, anche in maniera “più intima” con poche persone per rendergli quel valore di vita che posseggono.
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