Nymphomaniac di Lars Von Trier

LUI

Non mi risulta mai facile scrivere circa Lars Von Trier.  Perché significa rendere tangibile, concreto, reale, il dolore. Ma non quello fisico, non quello che tutti conoscono e temono, un altro tipo e ben più pericoloso: quello di chi ci sprofonda, ci rimane intrappolato, nonostante le sue intenzioni siano altre e diverse.  

nymphomaniac_locandina1Un dolore che resiste a ogni nostro tentativo di uscirne, che ci avvolge, potremmo definirlo “fato”  ma non faremmo giustizia a  Von Trier. . In realtà  mette in scena la sua disarmante e indifesa sensibilità. Lo fa in modo aperto e con tutta la sofferenza (enorme e titanica) che solo le persone sensibili e completamente nude di fronte alla vita, mettono in gioco.

Lo scontro sensibilità, empatia, dolcezza, sentimento e un modo corrotto dalla violenza, feroce con i deboli, razionale è spesso al centro del suo modo di intendere la vita e metterlo in immagini. Lui è Bess, Selma, Grace, Joe, ed è anche il marito di Bess, il professore che raccoglie Joe, il giovane che si prende cura di Grace, Un flusso dilagante di autocoscienza militante e radicale. Ecco, in poche parole quello che è il cinema di Lars Von Trier

Nymphomaniac  non è da meno.

Questo suo ultimo film (che noi abbiamo visto nella versione estesa e non tagliata di ben cinque ore) è uno scontro titanico e pieno di rimandi e autocitazioni tra le due anime o condizioni di dolore/eterna ricerca della felicità ,che vive Lars.  Joe è una persona che si reputa cattiva e non meritevole di amore. La ragione sta in una ninfomania che la porta a ricercare sempre il piacere assoluto e per questo usa gli altri. Fino a quando neppure il piacere le basterà. Perché arriverà a non avvertire più nulla. Tutto questo suo abisso di dolore nerissimo e assoluto, è raccontato a un vecchio e solitario professore Seligman.

Per tutta la durata del film si scontrano quindi la visione radicalmente pessimista, fortemente devastata dai sensi di colpa, da un odio verso sé stessa della donna (che anela a esser disprezzata o forse compresa e accettata seppur in modo molto nascosto) e il vecchio professore, uomo di cultura, intelligenza, razionale, poco propenso a una vita di turbamenti erotici.

Per cui se da una parte vi è un uragano di devastante brutalità (cioè la ninfomania della protagonista e la sua idea che il sesso e l’uso degli altri la porti a evitare di fare la fine del padre, a cui è molto legata e che lei vede come debole perché sopraffatto dalla aridità affettiva della moglie e madre della giovane donna) da un’altra il professore che è la voce del raziocinio, della ragione, di un esser perbene, che forse è solo una facciata. Forse.

Lo scontro tra una rhero_NymphomaniacVol2-2014-1icerca affannosa di piacere, di una felicità che si vuol negare a sé stessi e dall’altra una apparente razionalità che non giudica, che vuol comprendere. Questa l’anima della pellicola. . Il sesso è un meccanismo di identificazione e difesa della protagonista. Per non amare, per non essere indifesi come il padre.

Forse non avvince come altre sue opere, ma rimane un film importante e fondamentale.

LEI

Nymphomaniac non è un film divertente né piacevole. È un film duro, complesso, stratificato, provocatorio. È un film che obbliga lo spettatore a mettersi in gioco attingendo al proprio vissuto, senza risparmiarsi. Chi conosce Lars Von Trier sa che questo è il modo di lavorare del regista e che non è permesso non stare al gioco. Von Trier è un regista tirannico con lo spettatore perché lo obbliga a stare male. Non si esce mai indenni dalla visione di un suo film. Forse questo Nymphomaniac, tutto sommato, è quello che pretende meno dal punto di vista emotivo perché qui Lars pretende più un coinvolgimento cerebrale.

La pellicola si struttura come un lungo racconto che la ninfomane Joe (Charlotte Gainsbourg, ormai attrice feticcio ed alter ego del regista) fa all’uomo che l’ha soccorsa, Seligman (Stellan Skarsgård), una sorta di eremita che vive circondato dai propri libri, in una specie di reclusione volontaria. La struttura è ricorrente nella filmografia di Lars che utilizza tantissimo la divisione del materiale filmico in capitoli, come se avesse bisogno di dare un ordine a qualcosa che, altrimenti, sarebbe eccessivo ed informe. In Nymphomaniac la struttura del racconto, però, ha una valenza ulteriore, in quanto serve per sottolineare l’opposizione tra il narratore e l’ascoltatore. Qui, infatti, la Gainsbourg rappresenta l’istinto, l’emotività, il sentimento mentre Skarsgård assume il ruolo della ragione, dell’intelletto, della razionalità. Ed è questa la chiave di lettura con cui è necessario approcciarsi alla più recente pellicola del regista danese per comprendere quanto quello che Von Trier ci vuole dire, in fondo, non sia altro che quello che ci ha sempre detto: il nostro lato emotivo, per quanto possa farci apparire fragili, irrazionali, spaventati, è ciò che ci rende veramente e pienamenseligmante umani. Senza spoilerare il finale del film mi preme sottolineare quanto sia essenziale per il regista fare appello alla nostra sfera emotiva, anche quando, come nel caso di Joe, questa sembra portarci inevitabilmente verso l’infelicità. Perché ancora più infelice è una vita vissuta all’insegna della privazione dei sentimenti e delle emozioni, una vita in cui tutto tende ad essere ricondotto ad una razionalità che sembra proteggerci perché ci rassicura ma che, alla fine, non fa altro che renderci freddi e soli. Infatti per quanto il personaggio della Gainsbourg ci appaia disgustoso e condannabile, il personaggio interpretato da Skarsgård, per come si rivela nel finale, è agghiacciante.

Forse meno che in altre occasioni Von Trier è riuscito a rendere l’insieme della pellicola omogeneo e la struttura narrativa risente, evidentemente, di una costruzione non proprio perfetta. Allo stesso modo la scelta di far interpretare certi personaggi da due attori diversi (il caso di Joe e di Jerome, interpretati rispettivamente da Stacy Martin e Charlotte Gainsbourg e da Shia LaBeouf e Michael Paf), sebbene sia funzionale soprattutto a rendere credibili le scene di sesso, risulta poco coerente dal punto di vista narrativo.

Nonostante questo il regista danese ci ha regalato un film doloroso che, come dicevo in apertura, non permette allo spettatore di sottrarsi dalla riflessione che, inevitabilmente, produce.