Rubrica Berlinguer ti voglio bene: Una vita difficile di Dino Risi.
Rodolfo Sonego, è in un certo senso, il cervello di Alberto Sordi. Nel senso che per il popolare attore romano ha scritto forse i suoi ruoli migliori. Tra questi quello di Silvio Magnozzi è tra i più riusciti. La pellicola è ambientata tra la fine delle seconda guerra mondiale e gli anni del Boom. Silvio ha combattuto come partigiano, è un uomo coerente e fedele ai suoi ideali di giustizia, solidarietà, lotta di classe. Un uomo puro, giusto, che vive in un mondo opportunista, nel quale la stagione gloriosa della resistenza, è quasi un’onta da scordare Un mondo che ubriaco di guadagno facile, riscatto e rinascita (dopo l’esito disastroso della guerra) dimentica l’umanità, la voglia di creare un mondo migliore. Molti si abituano in fretta e seguono la corrente, altri invece si ostinano a combattere, a stare dall’altra parte: quella di chi resiste. Per Silvio significa una dura lotta contro tutto e tutti. La stessa moglie, a un certo punto, ormai stanca si distacca da lui. Cosa può dare un uomo che pur di non piegarsi a compromessi, mette in pericolo la vita sua e dei suoi cari? Come si può vivere e lavorare fuori dal Sistema? Queste domande non ci abbandonano mai durante la visione della pellicola. Chiaramente la nostra simpatia va per il protagonista, ma come non comprendere anche il dolore di Elena? Come è possibile vivere secondo i tuoi ideali, quando questi sono troppo splendidi per i tempi cupi, di ossessione per il potere economico, l’arroganza e maleducazione, il vivere per aver roba costosa da mostrare come trofeo, la fine dei sentimenti,e tutto quello che l’Italia del Boom è stata e continua ad essere? Il film è anche una bellissima storia d’amore: due anime semplici, due persone come ta
nte, che però hanno fatto delle scelte. Lei salvando la vita a lui (durante la guerra) lui stando sempre dalla parte del giusto, pagando questa sua inflessibilità duramente. Fino a quando dopo disastrosi fallimenti professionali e sentimentali, l’uomo decide di lavorare per un arrogante e odioso “cummenda”, simbolo dell’arricchito simbolo di uomini volgari e squallidi, arraffoni, feroci con i sottoposti, privi di umanità. Sordi offre una straordinaria prova attoriale. Forse la migliore della sua carriera, quella dove sicuramente non ha proposto il solito italiano medio ( che fece urlare a Moretti “Ve lo meritate Alberto Sordi”) ma un uomo coraggioso che vive una vita difficile, perché non si piega ai tempi e alla deriva reazionaria, cialtrona, corrotta, cioè la basi della prima, seconda, terza, repubblica. Su Wikipedia ( chi ha scritto circa codesto film) ci tiene a precisare che il finale non sia così lieto come sembra. Evidentemente meglio ingannare sé stessi e gli altri, meglio abbassarsi a essere una pecora, detestarsi per quello che si è diventati e provare schifo per un essere orribile come il capo del protagonista, ma portare a casa i danè. Mentalità odiosa e disumana Perché significa che tu non hai dignità. Fai lo schiavo, fallo bene. Ma non dire agli altri che vada bene così. Il finale invece ci rammenta che non possiamo mentire a noi stessi, circ
a la nostra natura. E che se la memoria storica è fondamentale, è proprio per questo: “Tu con chi stavi? E perché? Cosa hai fatto? Dove hai fallito?” La memoria storica è l’autocritica delle masse, non ci giustifica, non è indulgente. Proprio per questo, il gesto finale di Silvio è da applaudire. Comunque vada, sono un uomo che lotta e vivrò una vita difficile, ma mai con la vergogna di quello che gli altri mi hanno costretto a essere e diventare. A mio avviso, miglior film di Risi. Regia impeccabile