Rubrica La signorina Rottenmeier: Il cinema italiano gode di ottima salute, nonostante gli italiani non se ne siano accorti.

Adesso basta. Sono anni che il cinema italiano è vivo e vegeto e gode di ottima salute eppure nessuno pare essersene accorto. E non parlo solo degli spettatori ma pare non essersene accorta neppure la maggioranza dei critici. Perché? Perché è caratteristica precipua e diffusa del nostro popolo criticare sempre e comunque quello che fa. Lo vediamo tutti i giorni ovunque. Credo che siamo l’unico popolo al mondo il cui sport principale consiste nel criticare la propria nazionale calcistica! Per non parlare della politica, della società, delle relazioni e dell’umanità in generale. Italiana soprattutto!
Per fortuna il nostro cinema gode di ottima salute nonostante noi.
Se ci guardiamo indietro pure una delle vette della cinematografia mondiale, capace di influenzare tutto il cinema, contemporaneo e futuro, è germogliata nel nostro Paese in un clima di diffidenza se non proprio di odio. Parlo del Neorealismo, il cui valore è stato riconosciuto a posteriori, mentre negli anni in cui era vivo e fecondo veniva snobbato dal pubblico e disprezzato da molti intellettuali. Adesso, invece, ci bulliamo di aver dato la patria ad una cinematografia rivoluzionaria dopo la quale più niente è stato lo stesso. A posteriori.

Da un po’ di anni il cinema italiano, come dicevo, sta godendo di ottima salute e ne è segnale inequivocabile il fatto che ha (ri)cominciato a vincere premi a livello internazionale e che molti dei nostri autori continuano a fare film all’estero o, comunque, con cast internazionali (Muccino, su cui molti storceranno il naso, ma è una realtà, Tornatore, Sorrentino, Moretti e adesso anche Garrone, per citare solamente i più recenti). Bisognerebbe essere miopi per non accorgersi che in questo c’è una netta inversione di tendenza rispetto a quella che era la situazione del cinema patrio fino alla metà degli anni Novanta. Poi le cose sono cominciate a cambiare (prima lentamente e poi in maniera sempre più decisa ed evidente). Difficile stabilire gli elementi di questa rivoluzione perché è stata una rivoluzione sotterranea ed incompresa ma, soprattutto, una rivoluzione lenta che ha portato alla nascita di una nuova generazione di autori cresciuti esponenzialmente, in qualità e quantità dopo il passaggio di secolo.

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E’ proprio in questi anni che crescono ed hanno successo i tre autori che, in questo momento, potremmo considerare portavoci del nostro cinema a livello internazionale. Basta guardarli l’uno accanto all’altro nella foto che li ritrae pochi giorni prima della partecipazione al Festival di Cannes per capire che la rivoluzione di cui parlavo non è in atto ma è già al suo culmine. Ogni film di Matteo Garrone, Nanni Moretti e Paolo Sorrentino è indubbiamente un evento. Delle loro pellicole, volenti o nolenti, tutti gli appassionati di cinema parlano, molto spesso per distruggerle (ricordate lo sport nazionale? Ecco quell’atteggiamento non vale solo per il calcio, come dicevamo). E questo è un segnale forte ed evidente perché laddove c’è discussione, scontro, scambio di idee e punti di vista anche opposti, c’è innegabilmente una vivacità culturale prolifica.

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Questi autori sono solo la punta di diamante e i più blasonati di una temperie culturale che si sta diramando su tutto il territorio nazionale. A livello toscano, ad esempio (parlo di questo perché è quello che conosco meglio ma ho buone ragioni per credere che non sia l’unica realtà regionale interessata dal fenomeno), la rivoluzione silenziosa è emersa con Paolo Virzì, che è riuscito ad affrancarsi dal provincialismo delle sue prime pellicole per arrivare a rappresentare un cinema nazionale nuovo, fresco e culturalmente alto (il fatto che Virzì faccia prettamente commedie non deve svalutare il lavoro di un regista che affonda le sue radici culturali nel cinema di Scola, Monicelli, Comencini e gli altri grandissimi rappresentanti della commedia all’italiana, figlia primigenita di quel Neorealismo di cui parlavamo in apertura) tanto da trovarsi per ben due volte ad essere nominato per una possibile corsa agli Oscar (con La prima cosa bella e Il capitale umano, poi escluso dai nove candidati finali), oltre ad aver vinto molteplici premi in Italia, di cui i più prestigiosi sono il David di Donatello (per La bella vita, Ferie d’agosto, La prima cosa bella, Il capitale umano) e il Leone d’argento (per Ovosodo).

Ma la Toscana non è solo Virzì. Dal suo modo di fare cinema sono sorti altri autori che si stanno affermando in questi anni con risultati davvero notevoli e che documentano la fertilità di questa cinematografia. Quello che viene subito in mente è il fratello di Virzì, Carlo. Esordisce alla regia nel 2006 con L’estate del mio primo bacio, un film passato quasi sotto silenzio e non del tutto riuscito ma che dimostra, soprattutto, una freschezza di sguardo sull’adolescenza che non è affatto superficiale. Ci riprova nel 2011 con I più grandi di tutti, altra pellicola bistrattata che, invece, avrebbe da insegnare a più di un regista di maggior successo commerciale. Entrambe le pellicole hanno una vena malinconica che ricorda molto quella del fratello senza raggiungere però le sue vette espressive né dimostrare un’analoga padronanza di scrittura e di direzione degli attori. Ma Carlo Virzì è un regista da tenere d’occhio e che, se sceglierà di proseguire sulla strada della regia, ci riserverà sicuramente delle belle sorprese.

ROME, ITALY - OCTOBER 25:  Roan Johnson is bestowed with theBNL People’s Choice Cinema Italia (Fiction) Award at the Award Ceremony of the 9th Rome Film Festival on October 25, 2014 in Rome, Italy.  (Photo by Ernesto Ruscio/Getty Images)

Certamente più maturo è il pisano (d’adozione) Roan Johnson che esordisce nel 2005 con un film corale sul calcio (4-4-2 – Il gioco più bello del mondo) e si afferma con I primi della lista (che abbiamo anche omaggiato con una delle rubriche di cinema condiviso!), film volutamente minimalista ma che dà prova di grande sapienza nella messa in scena e nella direzione degli attori. Con il suo ultimo film, Fino a qui tutto bene, uscito nelle sale a marzo, conferma la sua posizione di rilievo all’interno del panorama cinematografico attuale (io non ho ancora avuto modo di vedere il film ma la vittoria del premio del pubblico al Festival di Roma e le opinioni quasi tutte positive della critica lo rendono sicuramente degno di nota) anche se ancora il successo presso il grande pubblico è lungi dal venire.

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Spostandoci a Firenze dobbiamo necessariamente citare quel Federico Bondi di cui abbiamo avuto più di un’occasione di parlare anche qui su cinema condiviso. Non ripeterò le stesse cose anche perché Bondi ha all’attivo solo due pellicole e di entrambe abbiamo parlato su queste pagine. Tra i registi citati Bondi è quello che ha nelle sue corde una maggiore tendenza a distaccarsi dalla commedia. I suoi film hanno una maggiore tendenza al dramma rispetto a quelli dei suoi colleghi, pur rimanendo circoscritti ad una realtà locale ben conosciuta e, proprio per questo, trattata con una delicatezza ed un minimalismo sempre molto umili e misurati.

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Chiude questa breve panoramica un regista alla sua opera prima ma che dimostra già una padronanza del mezzo e un taglio stilistico del tutto originali e convincenti. Si tratta di Duccio Chiarini il cui esordio, Short Skin, è ancora nelle sale. Andatelo a vedere perché è una di quelle pellicole che fanno respirare un’umanità che, ormai, è sempre più bandita dal cinema, come se ci si dovesse vergognare di piangere, di ridere, di sbagliare, di innamorarsi, di arrabbiarsi o fare un mare di cavolate. Chiarini descrive un adolescente alle prese con le prime pulsioni amorose e sessuali con un realismo e, al contempo, con una delicatezza inusuali. Chiarini non si vergogna di nulla. Ci mostra scene di nudo maschile e femminile senza che la cosa ci stupisca o ci scandalizzi; ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome e di descrivercele per quello che sono, senza risparmiarci nulla ma senza indulgere neppure in un facile sensazionalismo; ci mostra corpi per niente perfetti ma assolutamente normali, come ne avremo visti continuamente nelle nostre esperienze sentimentali e sessuali; ci mostra l’allontanamento di una coppia a causa di un tradimento ma la voglia di ricostruire, di ritrovarsi, senza dare per scontato che questo accada ma sperando in un nuovo inizio. Chiarini ci mostra la vita nel suo fluire dando importanza ad ogni particolare, ricreando un’età che tutti abbiamo vissuto, amato e odiato, ma di cui ognuno di noi, volente o nolente, è inevitabilmente frutto.