Rubrica L’età dell’innocenza: Colpo di fulmine di Marco Risi
Ci sono film che ti restano impressi fin dalla prima visione, anche se ti rendi immediatamente conto che non sono capolavori o pellicole importanti. Ma riesci a trovarci dentro qualcosa di importante o un modo di descrivere che percepisci come affine. Fatto sta che questi film ti rimangono impressi e, anche se li hai visti una sola volta milioni di anni fa, li ricordi perfettamente.
Colpo di fulmine è stato a lungo uno di quei film, perché, ad un certo punto, era diventato introvabile e io non ero più riuscita a vederlo. Però mi era sempre rimasta impressa la descrizione del rapporto tra la Gravina (che interpreta Giulia, una bambina di undici anni) e Jerry Calà.
Quando finalmente sono riuscita a vederlo di nuovo ho potuto confermare l’impressione che ne avevo avuto la prima volta e, anzi, consolidarla riscoprendo un film molto più delicato ed intelligente di quello che pensavo.
Un film del genere oggi non sarebbe forse neppure possibile girarlo. Credo che i tempi in cui viviamo impediscano a chiunque di girare un film simile, in cui il rapporto tra la bambina e l’adulto si consolida talmente tanto da diventare una vera e propria relazione sentimentale, eliminando del tutto ogni riferimento o rimando sessuale. Invece nel film di Marco Risi questo avviene ed il regista riesce a descriverlo senza alcuna morbosità.
In tal senso non va affatto sottovalutata la cura con cui il regista mette in campo il personaggio di Jerry Calà, evidenziando tantissimo il suo lato infantile, disincantato, quasi näif. E qui c’è dietro un evidente lavoro di scrittura talmente ben realizzato da sopperire anche alle doti recitative di Jerry Calà che non sono mai state eccelse. In questa pellicola si limita a fare il suo dovere ma il suo personaggio è talmente tanto scritto che emerge indipendentemente dalla sua interpretazione. E così tutta la prima parte del film, prima della partenza per Venezia e prima dell’incontro tra Giulia e Carlo, è funzionale a mettere in campo un uomo che vive la sua vita in maniera confusa, privo di punti di riferimento dopo la separazione dalla moglie, con un lavoro da broker che non gli appartiene e per il quale non prova il minimo stimolo, tanto da accettare di buon grado il licenziamento, con una vita privata all’insegna della solitudine ma, soprattutto, con un infantilismo di fondo che lo porta a non prendere nulla sul serio e con impegno concreto. Risi, per essere ancora più chiaro, sottolinea anche la mancanza di desiderio sessuale di Carlo inserendolo in un imbarazzante situazione di ménage à trois con l’ex moglie e il nuovo compagno, situazione da cui Calà fugge quasi immediatamente a gambe levate.
Quando ci spostiamo insieme a Carlo a Venezia, quindi, ne sappiamo già molto del personaggio. Ed è proprio perché lo conosciamo bene che non ci stupisce affatto il rapporto che si crea fin da subito tra lui e la figlia undicenne del suo migliore amico. La bambina prova immediatamente una forte affinità verso questo adulto che è completamente diverso dagli altri adulti con cui ha avuto a che fare fino a questo momento. L’amicizia che nasce tra i due è qualcosa che resta costantemente sul confine tra sentimento di amicizia e amore, senza mai andare a toccare la sfera sessuale, come dicevamo (e nel contesto filmico ci sembra perfettamente appropriato dato che abbiamo conosciuto un personaggio fondamentalmente spaventato dal sesso, che si sente sicuramente più a suo agio escludendo questa possibilità dalla sua vita).
La cosa più interessante di questa pellicola sta proprio nel rovesciamento del punto di vista che Risi non ha nessuna difficoltà nel farci accettare. Così noi spettatori finiamo per percepire Calà come il bambino e la Gravina come l’adulta, in un rovesciamento di ruoli che nel contesto filmico diventa perfettamente coerente e credibile e che è volto a sottolineare fondamentalmente il disagio umano di chi è adulto anagraficamente senza essere consapevole di cosa questo ruolo implichi.