Baci e Abbracci di Paolo Virzì

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LUI

Solidarietà. Esiste parola migliore, più bella, profonda, necessaria, fondamentale, nel nostro vocabolario? Credo proprio di no.

Essa significa molte cose: responsabilità, empatia, condivisione, avere una morale e un’etica. Non nascondersi, non volgere lo sguardo altrove, non esser assenti ingiustificati . La migliore e più completa tra le parole.

Paolo Virzì   ha fatto del suo cinema il canto laico e umanista della solidarietà. In tutti i suoi film ci sono gruppi di persone che insieme sostengono le dure prove della vita, le rovinose cadute, e le risalite ardite. Non vuol mai darci una vera spiegazione ideologica dei fatti e delle conclusioni finali, perché amando la vita sa come va: tu hai i tuoi bei progetti e ti culli nel tuo cattivismo da happy hour consolatorio, ma l’imprevisto è dietro l’angolo. Come un pranzo di Natale fatto come gesto di compassione e partecipazione, tra persone a cui la vita non vuole tanto bene.

Io amo questo tipo di cinema. Non ho ancora finito le lacrime per la morte del grande Carlo Mazzacurati, mi emoziono quando vedo i film di Francesca Archibugi, vuoi che non ami le pellicole di un altro allievo del mai fin troppo compianto Furio Scarpelli?

Baci e Abbracci, è questo: un inno alla vita,anzi alla nostra vita. Quella di esseri umani che per un motivo o l’altro non sempre ce la fanno, di persone che vivono scopertamente ogni secondo della loro esistenza, così a cuore aperto, senza protezione. Vittime di sogni troppo grandi, di timidezze, incertezze, di tante cose. Ma siamo sempre qui. Qui nel mezzo, fino che ce l’hai stai qui. Come diceva uno che non mi garba molto, ma che in questo caso ha ragione

La storia di Mario, Renato, Luciano e degli altri magnifici personaggi, più veri del vero, è il ritratto fedele della deriva socio economica che ha colpito l’Italia da almeno una trentina di anni. Crescete e moltiplicate le imprese, ma alla cazzo di cane, mi raccomando! Così si improvvisa un allevamento di struzzi, o meglio: si pensa di far qualcosa di nuovo, unico, che ci faccia dominare il mercato e vivere bene. Il sonno delle ideologie genera mostri. In buona fede, umanissimi, ma vittime della mostruosità del pensiero capitalista del self made man.

In questa situazione l’arrivo di Mario, un immenso e indimenticabile Francesco Paolantoni, porta quel momento di fragile umanità, di svelamento del bisogno di stare insieme e riscoprire i sentimenti, l’affetto, solo queste cose possono salvarci.  Non per niente la scena forse più toccante del film, è quando Mario spiega ai suoi amici cosa significa una delle tante poesie che i bimbi sono costretti a dir a Natale. In quel saltare insieme abbracciati e ripetere : “Non voglio soffrire più” C’è una delle pagine migliori del nostro cinema e non solo.

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Sono però i personaggi, l’arma vincente di Virzì. Abbiamo detto di Mario, un onesto e sfortunato ristoratore. Uomo buono, gentile, sicuramente non in sintonia con i nostri tempi. E gli altri? Dall’irruento Renato, al pacifico Luciano, fino alla dolcissima Annalisa (si il regista ci dice che anche le oche giulive sono persone e non così idiote come le riteniamo) è un campionario di umanità assortita alla meno peggio. Non sono vincenti, non hanno grandi qualità intellettuali, ma sono persone capaci anche di gesti di solidarietà, di buone parole.  Sono deboli, certo, ma capaci di riscattarsi.

“E ORA, POTERE A CHI LAVORA!”. cit . il nonno

LEI

Parlare del cinema di Paolo Virzì è come parlare di me stessa. Già ho avuto modo di ricordarlo ma il cinema del regista livornese ha il potere di commuovermi e di coinvolgermi come poco altro cinema è in grado di fare. E questo accade essenzialmente perché è un cinema denso di umanità. Un cinema in cui si parla quasi sempre di sconfitti ma che sono tali solo all’apparenza perché si tratta di persone che, in un modo o nell’altro, esperiscono la solidarietà, l’affetto e la vicinanza di altri esseri umani. Quindi la sconfitta narrata è solo una sconfitta sociale che ben poco ha a che vedere con la sconfitta umana. Ma la sconfitta sociale di cui Virzì quasi sempre ci racconta non è una sconfitta del singolo ma una sconfitta collettiva perché la società in cui viviamo, che è la stessa in cui i suoi personaggi si muovono, è qualcosa che va contro l’umanità, che ci spinge al cinismo ed alla sopraffazione, che ci mette gli uni contro gli altri facendoci sentire dei perdenti solo perché non accettiamo di adeguarci. Ed è in questa ottica che il cinema di Virzì è non solo potente ma addirittura rivoluzionario. Perché Virzì ci dice, pellicola dopo pellicola, che non è adeguandosi a questi disvalori che possiamo trovare felicità e realizzazione ma opponendosi ad essi, cercando una nostra strada, anche a costo di essere messi ai margini, esclusi, derisi. I suoi personaggi trovano sempre e comunque un riscatto, che avvenga attraverso un matrimonio tardivo, oppure attraverso un pranzo a base di pollo e patate arrosto in un cortile della periferia romana, o, ancora, attraverso la conquista di un posto di lavoro nell’ufficio di una fabbrica e la costruzione di una famiglia, poco importa perché questo riscatto è la base della felicità futura che il regista livornese ci fa sempre (e solo, anche questa è una precisa scelta) intravedere. Cose piccole, semplici, banali ma solo all’apparenza perché simboleggiano la conquista di una serenità umanissima.

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Baci e abbracci è il primo film di Virzì che vidi al cinema ed è uno di quelli che ho più amato, per molte ragioni. Ma tutte le ragioni sono riassumibili in una: Annalisa, il personaggio interpretato da Isabella Cecchi. Sarebbe stato facilissimo far scivolare questo personaggio in un facile macchiettismo, dipingerla come la segretaria provocante, con poco cervello e disposta a darla via al primo venuto. Invece Virzì, dietro ad un lavoro di scrittura eccelso, riesce a creare una figura che, per la maggior parte del tempo, è vittima di se stessa e che non si rende conto di essere sfruttata e raggirata da chi non le porta il minimo rispetto come persona. Ma grazie all’incontro con la gentilezza e l’umanità, incarnate da Paolantoni, riuscirà a capire il proprio valore ed a pretendere per sé qualcosa di più e di meglio. Annalisa è un personaggio che si evolve scena dopo scena per crescere sempre di più fino a diventare commovente per il coraggio con cui espone a tutti la sua fragilità in una delle scene più belle del film, quella dello sfogo contro Renato, colpevole di far soffrire tutti incurante dei sentimenti altrui. E qui va reso merito ad Isabella Cecchi per la sua magnifica interpretazione, grazie alla quale riesce a dare spessore al personaggio rendendolo sempre estremamente convincente.