Les Misérables di Tom Hooper
LUI
No, non mi è veramente possibile concepire il Musical, come semplice genere cinematografico. O teatrale. Non mi è volutamente possibile farlo per numerose ragione, ma per semplificare ve ne dirò una sola: Il Musical è Vita che esplode di gioia, è la potenza salvifica e liberatrice dei corpi in movimento, dell’amore e del dolore che tuonano implacabili dalle gole e dai cuori delle persone. Se noi ballassimo e cantassimo, nella vita reale, sarebbe un mondo migliore. E gli imbecilli non troverebbero il tempo di celebrare una Thatcer ad esempio. Non ci avete mai pensato?
Les Miserables è un Musical di enorme successo, che ha emozionato le platee di mezzo mondo, effetto raddoppiato grazie a una bellissima trasposizione cinematografica ad opera di un regista che io amo molto: Tom Hooper. Costui, già vincitore di un meritatissimo premio oscar con “Il Discorso del Re”, porta sullo schermo un’opera di assoluta bellezza e dalle immagini evocative, possenti, con lo scopo di colpire il cuore degli spettatori. Si, si, lo so! Mo mi parlerete di “ricatto morale” la paura di immergervi nella passione, nel vortice dell’amore, nella sofferenza, vi porta ad ammirare le opere innocue, dove si accenna a una problematica, ma tranquilli non vi mostro nulla. La debolezza dell’anti retorica reticente. Qui invece siamo in piena trincea. Ogni immagine è un assalto al nostro cuore, alle nostre emozioni, grazie alle prove stupefacenti e indimenticabili dell’intero cast: dal Javert di Russel Crowe, al Jean Vanjean di un intenso e memorabile Hugh Jackman. Fino alle due meraviglie del film, quelle che ogni volta mi fanno piangere senza vergogna, Anne Hathaway e Samantha Barks.
Fantine ed Eponine sono due personaggi meravigliosi. Donne vittime di una vita cattiva, ma che lottano per i loro amori. Una per la figlia, Cosette, e l’altra per l’amore non corrisposto del ricco rivoluzionario Marius. In particolare Eponine, quanta vita vissuta! Comprendo benissimo il suo soffrire per un amore che ci fa tremare il sangue nelle vene, ma che vive solo nella nostra fantasia.
E poi c’è la storia. Che uno scrittore come Victor Hugo sapeva ben mettere sulle pagine. Eventi storici che fanno da sfondo a temi universali: l’amore, la vita, la responsabilità delle nostre scelte, l’uomo che non è mai fermo a uno stato (o santo o delinquente) ma sempre in bilico e capace di redimersi.
Tutto questo è visibile in questo magnifico capolavoro. Cantiamo, con i protagonisti, la vita e la morte, la gioia e il dolore. E nel finale ci ritroviamo sulle barricate con tutti gli eroi, umanissimi e speciali, a cantare tra le lacrime e la felicità: tu la senti la gente cantare?
Noi la sentiamo, eccome!
LEI
Amo il musical. È qualcosa che va al di là del genere. Cinematograficamente parlando potrei dire che il mio genere preferito è l’horror. Perché il musical neppure lo considero un genere. Il musical va al di là del genere. Al di là della passione. Al di là della razionalità. L’amore per il musical è qualcosa di viscerale perché attraverso la musica le emozioni arrivano più dirette che attraverso qualsiasi dialogo.
D’altra parte mi rendo conto di essere un’eccezione. Tra coloro che amano il cinema solo una minoranza si definisce appassionata di musical. Anzi, anche tra i cinefili più incalliti il musical è un genere percepito come ostico, estraneo. Eppure è un genere esattamente come tutti gli altri. Come tutti i generi prevede la sospensione dell’incredulità. Se quando guardiamo un horror non ci stupiamo più di tanto che i protagonisti facciano azioni totalmente illogiche (tipo avventurarsi in un bosco dopo il tramonto o cose simili) o quando guardiamo un action ci sembra normale che un uomo da solo in una situazione disperata riesca a centrare con l’ultima pallottola rimasta proprio la fronte dell’antagonista da una distanza impressionante non vedo perché ci si dovrebbe stupire che in un musical improvvisamente tutti si mettano a cantare (e, spesso, a ballare). Eppure la maggior parte dei detrattori del musical avanzano proprio quest’accusa al genere!
Per me, invece, il musical descrive la vita esattamente come dovrebbe andare. Magari potessimo improvvisamente metterci a cantare e ballare nella vita reale! Sarebbe una gran figata! Perché nel musical, come accennavo prima, le emozioni vengono sbattute in faccia allo spettatore in modo sfrontato, diretto. E bisogna solo accettare di lasciarsi coinvolgere.
Il musical è il genere anticerebrale per antonomasia.
Les Misérables di Tom Hooper è forse il musical più riuscito da Moulin Rouge di Baz Luhrmann; con il valore aggiunto di essere la trasposizione sullo schermo di un grandissimo musical con canzoni originali (mentre per il film di Luhrmann si tratta di cover e medley di canzoni scollegate tra loro) a sua volta tratto da uno dei più grandi romanzi dell’Ottocento.
Les Misérables tratta temi universali come la vita, la morte, la compassione, la redenzione, il sacrifico, l’amore, l’integrità morale, la libertà. Tutti questi temi, trattati diffusamente e con dovizia di particolari (come era suo solito fare!) nel romanzo di Victor Hugo tornano nell’opera di Hooper attraverso una sorta di sintesi necessaria ma che non diventa mai frettolosa, perché Hooper indugia e sottolinea con una regia evidente ma che non scade mai nel virtuosismo (a differenza di ciò che fa Luhrmann in Moulin Rouge, ad esempio) tutta la gamma di sentimenti ed emozioni che sperimentano i suoi personaggi. A sottolineare tutto questo stanno le bellissime musiche di Claude-Michel Schönberg, meravigliose ed indimenticabili.
Un cenno a parte meritano tutti gli attori che danno prova di un innegabile talento canoro. E anche se non tutti sono all’altezza (Russel Crowe è francamente debole nel reparto vocale, pur esibendo notevoli doti interpretative che, in parte, compensano) c’è chi, come Anne Hathaway, spicca una spanna sopra gli altri, tanto da far venire voglia di vederla cantare ancora in molte altre occasioni.