Dog Soldiers di Neil Marshall

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LUI

Ognuno di noi ha i suoi mostri preferiti. C’è chi si veste e vorrebbe esser un vampiro, perché simbolo di romanticismo decadente , chi vorrebbe esser l’uomo invisibile per entrare furtivo nella stanza delle ragazze e così via. Io ho sempre avuto una grandissima passione per i lupi mannari, licantropi e cuccioli vari.  La potenza fisica, la velocità, il fatto talora di vivere in branco e cacciare insieme.  La natura che mostra il suo aspetto più selvaggio e anche più naturale. Non ci sono morti che ritornano dall’aldilà, non c’entrano – quasi mai- esperimenti scientifici, ma è semplicemente qualcosa che ci appartiene, che popola i boschi, le leggende, le paure. Qualcosa che richiama il lato più bestiale dell’essere umano. Perché queste bestie sono un incrocio tra noi e la fauna più crudele..

Neil Marshall pensa benissimo di debuttare riportando sullo schermo questa figura classica di molto horror. Ambienta il tutto nelle highlands scozzesi, e questa scelta si rivela vincente. In quanto i luoghi ci appaiono subito come inospitali, freddi, insensibili al nostro dolore. E poi gira quasi tutto il film in una casa giocando benissimo sul dubbio: ma è un rifugio o una trappola?

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La forza di codesta pellicola è proprio l’assoluta fisicità.  Sangue, zanne, carne, odore di morte e paura. Lotta per la sopravvivenza senza tregua. Cacciatori e prede. L’essenza stessa del cinema horror che si basa principalmente su queste cose: qualcuno caccia e altri cercano di non perire. 

Quindi cinema essenziale, ridotto all’osso, che usa la tecnica per creare suggestioni, tensione ed esplosioni di violenza.  Nei territori dello splatter, ma senza la grossolanità di codeste pellicole tutte budella e sangue. Qui c’è anche una sottilissima ironia sul militarismo, una messa in scena di personaggi certamente tagliati con l’accetta, ma non banalissimi o pleonastici. Anzi: il soldato che si lamenta perché non può seguire la partita, il sergente decisamente umano e attaccato ai suoi uomini , e Cooper, l’eroe che ha una sua precisa coscienza. Sullo sfondo, forse interessi di forze speciali e qualcosa di poco chiaro. Ma che sinceramente non conta tantissimo.

Marshall  in questa pellicola mette in tavola tanti elementi che ritroveremo nelle sue opere che seguiranno questo ottimo debutto. In particolare le figure femminili, mai di semplice contorno, ambigue e forti a modo loro. E riesce a rendere una normale storia, in un allucinante luna park di orrori ben assortiti, ti tiene inchiodato allo schermo facendo il tifo per i personaggi, cosa assolutamente non da poco, ha ironia che non diventa mai facile scappatoia per dire al pubblico: “Stiamo solo scherzando”. E viene pure citato in un film di Ken Loach, pensate un po’! Proprio perché il buon cinema non conosce confini.

Il film rielabora il mito del lupo mannaro in uno scenario abbastanza originale: una sorta di incrocio tra I Guerrieri della palude silenziosa e L’Ululato. La forza della pellicola è vedere uomini addestrati alla guerra, ad uccidere, smarriti e sconfitti da un nemico implacabile. Non i soliti ragazzini, gente sfortunata, ma guerrieri che improvvisamente si sentono piccoli e impauriti di fronte alla mostruosità. La pellicola ci dice anche come sia fondamentale il gruppo, come questi soldati dispersi e disperati tentino di vivere e di aiutarsi tra loro. Sono cose impalpabili, non esplicite, ma che si possono notare.

Tutti elementi che rendono la pellicola imperdibile.

LEI

A Neill Marshall voglio un po’ bene. La sua prima pellicola che vidi fu The Descent. Lo ricordo benissimo perché lo vidi da sola in una sala deserta. Eravamo solo io, Marshall e le sue creature che mi facevano una paura tremenda!

La cosa che mi colpì più di tutte fu l’ambientazione all’interno delle grotte. Per una che ha una leggera claustrofobia è uno di quei luoghi in cui non vorrebbe trovarsi mai, figurati poi incontrare delle creature calve ed ignude che gradiscono fare a pezzi la gente!

Tornata a casa mi venne subito voglia di recuperare i suoi film e mi resi conto che da recuperare, all’epoca, c’era solo questo Dog Soldiers. Anche in questo caso trovai la pellicola entusiasmante. La rivisitazione del mito del lupo mannaro sotto una prospettiva ed una luce completamente nuova mi colpì subito. Scegliere di ambientare il film durante un’esercitazione militare mi parve, oltre che azzeccatissimo, anche terribilmente simbolico, perché giocare alla guerra e trovarsi totalmente impreparati ad un assedio da parte di creature sovrumane mi parve la giusta punizione per chi pensa che essere il più forte significhi anche stare dalla parte giusta.

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Dog Soldiers è una pellicola che si può vedere e leggere a più livelli ed ognuno di questi risulta coerente e giustamente complesso. Marshall, anche sceneggiatore, ci presenta personaggi non proprio gradevoli privilegiando per tutta la pellicola le dinamiche di gruppo. Alla luce della sua produzione cinematografica anche successiva risulta evidente che questa è una delle caratteristiche più peculiari del regista britannico. Marshall mette in scena sempre pellicole corali, in cui il gruppo diventa esso stesso un personaggio tra i personaggi. Perché i singoli protagonisti vengono costruiti per sovrapposizione e crescono, diventano più reali e convincenti, proprio perché si trovano all’interno di un gruppo le cui dinamiche contribuiscono a dare profondità psicologica ad ognuno dei suoi singoli elementi.

Non è un caso che in questa pellicola i protagonisti siano un gruppo totalmente maschile (con l’unica eccezione per il personaggio interpretato da Emma Cleasby) mentre in The Descent il gruppo sia composto esclusivamente da donne. È come se Marshall avesse voluto analizzare sistematicamente la differenza di dinamiche attraverso un gruppo di uomini e poi fare la stessa cosa attraverso un gruppo di donne. E in entrambi i casi riesce a farlo evitando totalmente gli stereotipi ma rendendo i rapporti tra i personaggi non soltanto estremamente reali ma anche estremamente appropriati rispetto alle dinamiche di genere.

Una menzione d’onore va alla rappresentazione del mostro, in questo caso il lupo mannaro. Marshall prende questa figura dalla tradizione ma la rielabora, creando dei mostri giganteschi ed assetati di sangue in cui il lato umano scompare completamente. Marshall rende i suoi licantropi completamente bestiali, non c’è alcuna tensione tra la natura umana e quella animale nelle sue bestie, ma una totale prevaricazione della seconda sulla prima. E per ottenere questo effetto utilizza una dose massiccia di splatter che, in questo caso, diventa assolutamente funzionale alla rappresentazione cinematografica messa in scena. Carne, sangue e viscere sono gli elementi di una bestialità incontrollata ed incontrollabile, una bestialità in cui non c’è traccia di pietà né di umanità. Questi mostri non possono essere combattuti per ridurli in cattività ma solo per distruggerli e sopravvivere.