Rubrica L’età dell’innocenza: La madre di Andres Muschietti

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Attenzione! Contiene spoiler.

È sufficiente amare i propri figli per essere una brava madre? Ne parlavamo giusto qualche settimana fa sempre in questa rubrica, a proposito di Mi chiamo Sam. In quel caso la risposta era sì. Tutto quello che è necessario per crescere dei figli è l’amore.  Ma siamo così sicuri di saper riconoscere e definire che cosa è l’amore?

Guardando La madre di Andres Muschietti si potrebbe essere spinti a pensare che l’essere che dà il titolo alla pellicola ami profondamente le due bambine protagoniste. Le ha cresciute per cinque anni, le ha nutrite, ha giocato con loro, le ha protette, ha cantato per loro. Apparentemente tutti questi sono gesti d’amore, sono ciò che ci si aspetta che una mamma faccia per le proprie figlie. Eppure non c’è amore in questa creatura.

Amare i propri figli significa, innanzitutto, perseguire il loro bene, desiderare che crescano sviluppando tutte le proprie potenzialità, volere che siano migliori di noi e non il nostro specchio.

Il film di Muschietti è perfetto nel mettere in scena un confronto tra due figure femminili, quella mostruosa ma apparentemente amorevole della madre e quella apparentemente fredda di Annabel, la zia delle due bambine (una Jessica Chastain che non ci stancheremo mai di dire quanto è brava!).

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Annabel non vuole figli. All’inizio del film la vediamo esultare per un test di gravidanza negativo ed annunciarne con gioia il risultato al proprio compagno (Nikolaj Coster-Waldau nel doppio ruolo del padre e dello zio delle due piccole protagoniste). Annabel suona il basso in una band ed è felice della sua vita di coppia, non chiede niente di più. Non è lei a scegliere di prendersi cura delle bambine e non nasconde mai la sua inadeguatezza di fronte ad un ruolo per il quale non si sente affatto portata.

Fin dal primo approccio con le nipoti capiamo subito che Annabel non sa come comportarsi con loro. Già dal primo saluto si mostra distaccata e fredda benché sia evidente lo sforzo di comunicare con le bimbe, basta vedere il semplice gesto di abbassarsi per mettersi alla loro altezza nel salutarle.

Muschietti elimina questi da subito la figura maschile per lasciare le due bambine da sole con le due figure femminili. Questo ci permette di percepire tutta la differenza tra i due modi di relazionarsi con loro. La Madre è una figura inquietante che per buona parte del film (la migliore!) riusciamo solo a percepire ma vediamo sempre in ombra. Comprendiamo però lo stretto legame che essa ha con le due sorelle, soprattutto con la piccola Lilly, cresciuta con lei in anni delicatissimi per lo sviluppo di un bambino (da uno a sei anni). Lilly, infatti, non conosce la civiltà, si comporta più da animale che da essere umano, dato che l’unico suo simile con cui ha avuto contatti per cinque anni è stata sua sorella maggiore. Il legame con la Madre, infatti, è fortissimo e Lilly non sembra mai averne paura. Victoria, invece, è delle due quella più attratta da Annabel e dal nuovo mondo in cui si ritrova a vivere dopo essere stata isolata per cinque anni in un capanno in mezzo ad un bosco. Victoria si rende conto che la Madre costituisce un pericolo e comincia a temerla. E proprio in questo timore si evidenzia l’incrinarsi di quello che, fino a questo momento, potevamo scambiare per amore. Si può aver paura di qualcuno che ci ama? No perché la paura cancella l’amore. È qui che comprendiamo che l’amore dalla Madre nei confronti delle bambine è possesso, disperazione, rabbia. È qui che ci rendiamo conto che, pur di averle, la Madre è disposta ad ucciderle. Ed è in questo momento che Annabel si rende conto di aver stabilito un legame con loro e che non accetterà di perderle.

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La madre è un bellissimo film per circa due terzi. E per buona parte della pellicola riesce a mettere in scena benissimo alcuni comportamenti che è facilissimo ritrovare in molte figure materne, soprattutto nel confronto/opposizione tra la Madre e Annabel. Tutta l’ultima parte del film, dalla rivelazione  visiva della figura della Madre, invece, perde di compattezza e di efficacia e si sfalda rientrando in territori più consoni ad un horror commerciale. Non per questo si può parlare di un brutto film ma basta questo per farci parlare di occasione mancata. Peccato.